POLLOCK PROJECT
VISUAL JAZZ & CONTEMPORARY ART
Marco Testoni handpan, percussions, piano, loop programming
Simone Salza sax soprano, clarinet
Elisabetta Antonini vocal, live electronics
Be Human Records (2016)
Pollock Project is built on the force of the intuition and the aesthetics of Art-Jazz which is able to conceive of a “visual music” with intense colours and surrealist spirit so that the live act is intertwined with the visual arts and video mashups. This is a musical tribute to the beauty of creative freedom, with numerous references to the visual arts of the twentieth century, as well as to the cinema and literature of our own day.
In their albums, the reference to the most visionary contemporary art is fundamental and is largely based on the re-interpretations of various jazz standards – In A Silent Way by Miles Davis, After The Rain by John Coltrane, and Angels and Demons At Play by Sun Ra, to name just a few. The unconventional technique of “dripping” is translated into its musical equivalent: an improvisational style similar to Jackson Pollock’s “action painting”.
Luciano Vanni Intervista al Pollock Project per JAZZIT
Abbiamo intervistato il musicista Marco Testoni, fondatore dell’ensemble “Pollock Project”, originalissimo progetto musicale basato sull’estetica dell’Art-Jazz che fonde sonorità world e jazz contemporaneo con altre forme di arte visuale, nel quale la tecnica del “dripping”, tipica dell’action painting di Jackson Pollock, viene tradotta in uno stile musicale unico e sorprendente.
Di Luciano Vanni
Iniziamo da una presentazione dei componenti del gruppo, i Pollock Project, e dell’estetica espressiva che sottintende la vostra unione.
Ho fondato questo gruppo nel 2011 e allora la formazione includeva anche Max Di Loreto e Nicola Alesini. Nel corso degli anni si sono avvicendati altri musicisti e attualmente siamo un quartetto che, oltre al sottoscritto Marco Testoni (pianoforte, handpan, live electronics), vede tre musicisti con una propria storia artistica importante: Elisabetta Antonini (voce e live electronics), Simone Salza (sax alto e soprano) e Mats Hedberg (chitarre). A partire dal nome del gruppo, un chiaro tributo a Jackson Pollock, l’idea è sempre stata quella di avvicinare il jazz all’arte contemporanea, in particolare lasciando interagire liberamente la nostra musica con le immagini, i mashup e i video originali realizzati in collaborazione con una serie di artisti visuali tra i quali Victor Enrich, István Horkay (già collaboratore di Peter Greenaway), Antonia Carmi, Mark Street e non ultimi Andrea Bigiarini e i fotografi del New Era Museum. Un lavoro di sperimentazione visionaria molto stimolante e divertente anche perché, lavorando come compositore e music supervisor di musica per cinema, il linguaggio delle immagini è un po’ una costante della mia vita artistica.
“Speak Slowly Please!” è il vostro quarto album: a tuo avviso cosa porta di nuovo?
La voglia di capire e contemporaneamente di farsi comprendere utilizzando testi e riferimenti artistici molto chiari. Dopo tre dischi piuttosto sperimentali abbiamo cercato di puntare all’essenza. In fondo il senso del nostro progetto musicale è proprio quello di misurarsi con il potere delle immagini che è poi la reale condizione universale che accomuna tutti noi, nessuno escluso. E da questa giungla di segnali in cui tutti viviamo abbiamo cercato di trarre un senso.
Di certo, ora siete un quartetto e oltre la musica strumentale, c’è un testo, quello di L As In A Gift: come nasce questa idea?
In questo album sono presenti due canzoni, un po’ perché dopo tanta musica strumentale ho pensato fosse la forma musicale più adatta per ricercare l’immediatezza, e un po’ perché avrebbe valorizzato la vocalità di Elisabetta Antonini. Infine perché trovo che l’utilizzo di un testo spalanchi una serie di soluzioni creative. Le liriche di L As In A Gift sono state scritte da Kay McCarthy mentre quelle di Speak Slowly Please da me e sono state ispirate da un romanzo di Julio Cortázar e Carol Dunlop (Gli autonauti della cosmostrada). Poi ci sono due pezzi, Unnecessary e Pe No Chao dove Elisabetta canta alcune frasi di Marcel Duchamp e spezzoni di poesie di Neruda.
Assai interessante anche la lettura di partiture di Miles Davis e Frank Zappa: cosa significa, per voi, interpretare dei classici?
Reinterpretare i classici del jazz, ma non solo, è una pratica che ci accompagna da sempre. Nei dischi precedenti lo abbiamo fatto suonando John Coltrane, Sun Ra, Joe Zawinul ma anche pescando altrove come nel caso dei Sigur Rós. Sono comunque tutti artisti con cui condividiamo l’attitudine visionaria e il desiderio di esplorare percorsi diversi. Quindi non rispettiamo molto la forma originaria ma proviamo a colorare la rilettura di un classico cercando connessioni con il nostro mondo, che non è fatto solo della nostra musica ma anche di inserti parlati, elettronica, immagini e animazioni digitali.
Quanto cambia, sul palco, la musica dei Pollock Project?
Cambia abbastanza. In primo luogo perché i nostri concerti sono sempre accompagnati da installazioni o schermi dove vengono proiettati in multivisione i video che accompagnano ogni momento del live. Nonostante poi l’interazione con le immagini ci costringa spesso all’utilizzo di parti scritte, una buona parte dei brani prevede comunque l’improvvisazione. Ultimamente la nostra collaborazione con i fotografi del New Era Museum si è spinta fino all’organizzazione di una vera e propria performance con allestimento di set fotografici negli spazi vicini al palco.
E per finire, un vostro desiderio realizzato e da compiersi.
Continuare a suonare anche in quegli spazi non deputati alla musica ma alle arti visuali. Ho avuto il piacere di suonare al Macro di Roma e al Louvre di Parigi e durante la mostra “Klimt Experience” a Firenze. Paradossalmente il grandissimo rispetto che ho verso gli artisti di strada mi ha spinto alla considerazione che l’emozione e l’efficacia della musica passi anche attraverso la scelta del posto nel quale decidi di suonarla.
http://www.jazzit.it/pollock-projectintervista-a-marco-testoni/
Marco Buttafuoco per JAZZ CONVENTION
Continua il viaggio di Pollock Project attraverso la giungla sonora dei nostri tempi, alla ricerca di una possibile e sempre mutevole soundtrack . In questo quarto cd ci sono significative novità di formazione e di scrittura. Il gruppo si è allargato proponendo alle chitarre lo svedese Mats Hedberg. Questo permette a Marco Testoni, autore di cinque dei sette brani in scaletta (gli altri due sono una cover di So What e una riproposizione dello zappiano Watermelon on Easter Hay) di arricchire la sua già notevole tavolozza timbrica. Il percussionista romano si cimenta anche in due vere e proprie canzoni: quella, molto convincente, che da il titolo al disco e la traccia di apertura L as In A Gift, dando così per la prima volta al suo gruppo una cifra melodica di spessore.
Sono tanti anche, rispetto ai dischi precedenti, gli elementi di continuità: la ricchezza di suoni, determinata anche da un uso dell’elettronica sempre pertinente, da un gioco d’inserti sonori provenienti dal cinema, dalla televisione, dalla pubblicità che s’intrecciano alla musica creando un flusso continuo di rimandi e suggestioni, l’immediatezza e la raffinata semplicità delle composizioni. Grazie a una felicissima “deformazione professionale” (lavora da sempre in ambito cinematografico), Testoni pensa alla musica in termini d’immagini visive. La comunicazione immediata (evocata anche nel titolo del disco), è per lui una necessità artistica primaria. Questa semplicità non scade mai, però, nell’ovvietà o nel patchwork stilistico. La rilettura di So What è, in questo senso, esemplare. La scarna idea di Miles, viene continuamente riproposta su una specie di tappeto dance mentre i soli, di ottima scuola jazzistica, suggeriscono continui cambi di atmosfera, spostamenti di colori; il vecchio classico, senza perdere le sue connotazioni fondamentali, diventa quindi racconto, colonna sonora di un paesaggio urbano indefinito, in continuo movimento. La musica di Pollock Project riesce sempre a mantenere, al di là della fruibilità istantanea, una dimensione d’inquietudine e di spiazzamento. Ciò si deve anche e soprattutto alla bravura dei singoli. Elisabetta Antonini e Simone Salza si muovono a loro perfetto agio nelle acque cangianti della musica del leader. Entrambi hanno il feeling “drammatico” necessario a interpretare il flusso d’immagini e suggestioni che tale musica evoca. Lo stesso si può dire del già citato Mats Hedberg. Sua l’introduzione al brano più convincente ed esplicativo del disco, quel Nana, ispirato al celebre strip della ballerina turca citato da Fellini ne La dolce vita.
Fabrizio Ciccarelli per ROMA IN JAZZ
Quando la Musica incontra le tendenze più contemporanee di ciò che è Arte e di ciò che ancora non lo è, almeno secondo la dizione tradizionale che il mondo dirige sempre verso quel che non conosce, è spesso possibile incontrare i discorsi più originali, gli allontanamenti necessari da Forme e Formalismi, la Sostanza di Idee che lasciano pensare che il Divenire stia in realtà già avvenendo.
Di questo Pollock Project ne sa parecchio, e da sempre: il quarto album conferma (anche troppo facile dirlo) la loro creatività, che prosegue itinerari già inaugurati, sorveglia la compostezza di arrangiamenti che s’immergono sempre più in un linguaggio multimediale che, per brevità e per chiarezza, diremo Art Jazz, sebbene il termine non designi appieno i tanti contorni estetici di cui Speak Slowly Please! è composto, performance multiforme, multiculturale, policentrica, divagante e visionaria tanto quanto l’Action painting del Maestro statunitense cui, a partire dal nome scelto, s’ispira sia per il singolare Segno “musipittorico” sia per l’ampiamento del calibro tecnico e tecnologico.
Pollock Project predilige il Surreale, lo scorrere del Suono visto nelle Variabili dell’Avanguardia e allo stesso tempo nella consapevolezza delle proprie radici filosofico-musicali, delle quali paiono assolutamente consapevoli i quattro protagonisti, ognuno per la parte che ha scelto, ognuno per il contributo che dà ad un lavoro d’equipe, ad un interplay nel quale dar voce corale alle sei composizioni di Marco Testoni e alle due riletture di Essenze straordinarie del Contemporaneo, il capolavoro So What di Miles Davis ed il distonico Colpo di Genio Watermelon in Easter Hay di Frank Zappa. A proposito, per esperienza sappiamo che gli Omaggi parlano a volte ancor più chiaramente dei brani originali, essendo Figure di Riferimento, Aspirazioni da raggiungere e Proiezioni inconsce, Polinomi nei quali accordare il proprio Presente ad un Futuro sentito vicino da raggiungere: Zappa e Davis, un connubio più che possibile, un Mash Upstoricamente non avvenuto ma che senz’altro avrebbe potuto essere e che sentiamo possibile nell’Intuito Pollock Project, una Ipermodifica dei codici interpretativi che include non solo le esperienze di Brian Eno, di Ryūichi Sakamoto e dei Weather Report, ma anche le suggestioni ipnotiche della Classica Contemporanea, della World Music e del Jazz Rock.
Ne parliamo con Marco Testoni.
d. Considerando i tre album che precedono l’uscita di Speak Slowly Please!, fedeli alla Linea, no?
r. Dal primo disco ad oggi abbiamo sempre cercato di essere e restare visionari raccontando con i suoni quello che è intorno a tutti noi. In piena libertà e senza alcun pregiudizio. Mescolando stili, tecniche e personali esperienze umane. Questo disco è un po’ un concentrato di tutto quello che abbiamo incontrato e metabolizzato sinora. Ogni tanto mi domando qual è il senso finale di un gruppo come Pollock Project. Forse siamo un ponte costruito per chi ha voglia di viaggiare, non certo per chi deve trasportare merci. Sennò a cosa serve fare musica?
d. Qualcosa cambia negli arrangiamenti, nella dosatura delle sonorità elettroniche e nei “primi piano” degli effetti?
r. In questo senso per me non è cambiato molto. Ho sempre pensato che l’elettronica sia uno dei tanti ingredienti della musica, forse in questo disco ce n’è un pochino di più ma non credo poi sia molto importante. E’ un po’ come chiedere a un pittore perché ha usato in un quadro molte tonalità bluastre, a Jimi Hendrix perché usava il distorsore o a Schönberg perché mai si fosse fissato con la Dodecafonia. Mettici poi che lavorando nella musica per immagini, dove nessuno si scandalizza degli abbinamenti timbrici, ho da tempo iniziato ad interessarmi di Sound Design.
d. Speak Slowly: “parlar piano” (senza alzare il tono della voce, scandendo nel giusto Tempo) come riferimento alla vorticosa celerità col quale oggi viene trasmesso il messaggio musicale (e non solo musicale), una riflessione sui Tempi Eccessivi (e avventati, a tutto svantaggio della comprensione) dei nostri Tempi?
r. Parlare lentamente è il modo più naturale per cercare di farsi capire da chi conosce poco la tua lingua. Questo disco nasce dalla necessità di farsi capire. Parla di emozioni e di “tocco umano”. Per la prima volta utilizziamo dei testi e anche la forma canzone, seppur adattata al nostro stile. In definitiva cerchiamo testardamente di continuare ad essere musicisti e artisti in un tempo dove è molto difficile esserlo. Soprattutto per chi non vuole assomigliare a nessuno.
d. Frank Zappa- Miles Davis: omaggi che parlano della vostra scelta di un Art Jazz memore tanto di certe splendide storiche Blue Notes quanto del vigore satirico, provocatorio e iconoclasta di un’Avanguardia che ha segnato la Storia della Cultura del 900. Quale il nesso?
r. La prima cosa che mi viene da dire è che hai colto l’abbinamento Davis-Zappa nella scelta dei tributi. Qualche decennio fa ci avrebbero crocifisso per questo, oggi invece no. Probabilmente perché l’ascolto è molto cambiato, in questo senso in meglio direi. Ci sono fortunatamente meno steccati ideologici e più apertura mentale. Peraltro Zappa e Davis sono stati precursori, visionari e poco inclini al purismo. Differenti certo ma molto più simili nell’approccio di quanto si pensi. Io poi sono uno zappiano convinto ed era da tempo che volevo reinterpretare qualcosa di suo che potesse essere assimilato dallo stile di Pollock Project. Un giorno mi sono imbattuto in un video dove Dweezil, il figlio di Zappa, suonava commuovendosi Watermelon In Easter Hay: un pezzo lirico ed emozionale molto diverso dallo Zappa che conosciamo. Con questa scelta credo di aver fatto un gran regalo a Mats Hedberg, il chitarrista che da questo nostro quarto disco è entrato in pianta stabile nel gruppo.
d. A questo proposito vorrei sottolineare il contributo di Mats Hedberg per il suo modo d’interpretare perfettamente consono allo stile Pollock Project, pur conservando intatta la sua individualità di chitarrista amante di Metal e World. La sua presenza mi sembra davvero importante…
r. Eclettico. Questo è il primo aggettivo che mi viene in mente per definire Mats. Probabilmente è per questa sua caratteristica che è anche il musicista con il quale collaboro da più tempo. Da molto prima di Pollock Project. Per cui quando alla fine è entrato definitivamente è stato abbastanza facile per lui entrare in sintonia. Con lui stiamo preparando un disco in duo che uscirà presto.
d. Molto nel Progetto-Pollock la “pittura vocale” di Elisabetta Antonini, tanto astrale quanto composta e attenta…Credo che in questo quarto disco lo stile di Elisabetta venga esaltato.
r. Sì, ne sono convinto. Elisabetta ha una particolarità capacità di tirare fuori colpi di autentica genialità quando meno te lo aspetti. Caratteristica che nel tempo ho imparato ad apprezzare e forse anche a sollecitare. In questo quarto disco l’impronta vocale di Elisabetta è veramente incisiva. Credo dipenda dal fatto di aver trovato ormai il suo spazio espressivo e aiutata finalmente anche dai testi.
d. E molto nel Progetto anche il sax di Simone Salza, abile a volare fra i vostri tipici Colori…
r.Simone merita un capitolo a parte. Oltre che un’amicizia con lui si è sviluppato un autentico e particolarissimo interplay che ha segnato profondamente lo stile più recente di Pollock Project. Ma oltre questo è un grandissimo professionista con una sensibilità immensa. Con lui condivido il lavoro nell’ambito della musica per il cinema e serie tv che facciamo al di fuori del gruppo. Insomma veniamo dallo stesso ambiente lavorativo e utilizziamo lo stesso linguaggio. Siamo abituati alla dura legge del Sync con le immagini ed è proprio per questo che l’ho coinvolto in MAJE, un’opera multimediale dedicata alla Mobile Art che ho scritto insieme ad Andrea Bigiarini e i fotografi del New Era Museum e che abbiamo presentato al Macro e all’interno di spazi d’arte contemporanea come il Klimt ed il Monet Experience.*
d. Tu ne fai proprio tante…le tue predilette percussioni, poi al pianoforte, alle tastiere e nel luogo magico del programming; e poi componi…a proposito: come componi? A chi e cosa pensi quando scrivi su quella “carta bianca” che sempre agita ed eccita? Fra i Ringraziamenti per l’album trovo i nomi di Marcel Duchamp, Julio Cortàzar, Pablo Neruda; Miles Davis e Frank Zappa sono già nella tracklist. Ah, che Maestri!
r. Hai ragione, ne faccio veramente tante! Sono innamorato della conoscenza. Per molto tempo ho pensato di avere troppi interessi e di non essere capace ai gestirli tutti. Non riuscivo a trovare la quadra del cerchio e questo era veramente frustrante. Ho lavorato con cantautori, scritto e prodotto canzoni, anche per bambini. Da ragazzo facevo teatro, come attore e musicista, ma iniziai anche ad interessarmi di arte contemporanea. Poi ho incontrato la musica per immagini: dal cinema alla videoarte, scrivendoci anche un libro (NDR: Musica e visual media, Dino Audino Editore 2016**). A un certo punto ho capito che se volevo trovare la mia voce dovevo cercare un punto d’equilibrio e credo di averlo trovato nello studio della sinestesia. Da quel momento ogni spunto auditivo o visuale, letterario o cinematografico, tecnologico o spirituale è divenuto l’inizio di un possibile viaggio, di un’azione creativa. Questo si traduce in una costante osservazione di quello che ho intorno, un continuo apprendistato dove non si smette mai di imparare.
d. La formazione del Pollock Project mi sembra aver trovato stabilità artistica e grande capacità di ”leggere dentro”, d’intuire cosa abbia in mente chi di voi quattro suoni. Di solito usiamo il termine inglese interplay per esprimere questa concordanza, che però in questo caso mi sembra anche riduttivo…Come e quando incidete? Dopo aver concordato le “parti”, dopo un confronto aperto? Oppure c’è fra voi un Direttore Artistico a supervisionare?
r. Scrivendo i pezzi sono effettivamente io a supervisionare il tutto. In generale si parte quasi sempre da una sequenza di accordi con alcuni temi e parti scritte o un Loop sincronizzato a un video. Poi, dopo aver dato qualche particolare indicazione, ognuno improvvisa o interpreta la sua parte. Infine la palla torna a me che edito, taglio, elimino o aggiungo. Il distillato finale è il risultato di varie stratificazioni compositive, improvvisazioni o intuizioni a posteriori. E qui se vuoi puoi capire perché Pollock, l’artista, continua ad essere un faro.
d. Non possiamo fare a meno di ricordare chi a suo tempo ha segnato in modo indelebile l’Idea Pollock, e che purtroppo ci ha lasciato la scorsa estate: Max Di Loreto, un batterista mai sostituito, e forse non a caso…
r. Non c’è giorno che non mi ritorni in mente. Conoscevo Max da quando era un bambino perché siamo cresciuti nello stesso quartiere di Roma, a Monte Mario. Grazie a lui ho conosciuto quello che sarebbe diventato il mio strumento principale: l’Handpan. Max è stato un musicista versatile, istintivo, e suonava un’incredibile varietà di strumenti. Avrebbe potuto essere anche un ottimo cantante visto il timbro profondo della sua voce. Era molto legato all’esperienza con Pollock Project e credo abbia vissuto con sofferenza il distacco dal gruppo. Ci eravamo rivisti poco tempo fa scambiandoci i nostri rispettivi dischi e prendendoci in giro con affetto. Avrebbe voluto ricomporre il trio originario ma non era più possibile. Purtroppo, come molti musicisti sanno, la musica quando è intensamente vissuta può unire ma anche maledettamente dividere.
d. Al Pollock Project piace viaggiare…dove volete arrivare?
r. Potrei dirti che il nostro è un percorso che vuole assimilare qualsiasi musica o espressione artistica che attiri il nostro interesse. Ma in realtà non so dove arriveremo. Non lo so anche perché perdersi durante un viaggio è il modo migliore per trovare qualcosa di nuovo e inaspettato. E forse è meglio.
Fabrizio Ciccarelli
http://www.romainjazz.it/413-pollock-project-speak-slowly-please
Il blog della musica
Pollock Project presenta il nuovo album: Speak Slowly Please!, il disco della svolta jazztronica. Se nei primi tre album si seguiva un percorso in nome del visionario e dell’art-jazz ora quella matrice sembra inglobata in uno stile musicale unico e trasversale che è ormai divenuto un preciso marchio di fabbrica del gruppo. Un mix imprevedibile ed evocativo di jazz contemporaneo, world music, post-prog, musica elettronica ed arti visuali che si muove liberamente fra classico e modernità.
Un disco all’insegna del numero 4: quarto album e quattro musicisti perché Pollock Project è divenuto ora un quartetto. A fianco, infatti, al suo ideatore Marco Testoni, nonché autore di tutti i brani (piano, handpan, percussioni; Premio Colonne Sonore 2014 e Premio Roma Videoclip 2016 Compositore dell’anno), Elisabetta Antonini(voce, live electronics. Top Jazz 2014 – Miglior Nuovo Talento) e a Simone Salza(sassofoni e clarinetto; interprete dei principali autori italiani di musica per cinema come Ennio Morricone e Nicola Piovani) si aggiunge in pianta stabile lo stile intenso e duttile del chitarrista svedese Mats Hedberg. Preziosi special guests del disco: Primiano Di Biase (Dire Straits Legacy), Giancarlo Russo (Meteor Shower) e Guido Benigni (Acustica Medievale).
Come da tradizione il titolo dell’album è programmatico: un ironico ed amichevole invito ad una chiarezza di linguaggio che sappia essere diretto pur esprimendo contenuti musicalmente e culturalmente profondi. Già dalla sua prima traccia, L As In A Gift una canzone scritta da Marco Testoni con il testo della cantautrice irlandese Kay McCarthy, ma soprattutto con la title-track Speak Slowly Please!, una moderna ballad ispirata al libro di Julio Cortazar e Carol Dunlop (Gli autonauti della cosmostrada, ovvero un viaggio atemporale Parigi-Marsiglia), il disco mostra una discontinuità con le produzioni precedenti uscendo dalla consueta musica strumentale per inoltrarsi nel terreno della songwriting.
Cosi Marco Testoni spiega il titolo del disco: «Speak Slowly Please! è una piccola frase che nasconde bellissimi e semplici contenuti. E’ una richiesta di chiarezza, ma è anche un desiderio di capire il nostro interlocutore. Ti chiedo di parlare lentamente per comprenderti meglio e tu provi a farti capire non dando per scontato che io conosca bene la tua lingua. Sembra una sciocchezza ma non lo è affatto! Sia nel quotidiano che nella musica».
Fra le altre tracce dell’album troviamo Nana, un brano dedicato ai musicisti che accompagnarono lo strip di Aiché Nana che diede inizio alla Dolce Vita, e alcuni dei più noti pezzi dei primi tre album qui riarrangiati per la nuova formazione: Unnecessary, Pe No Chao e Impossible Humans. Infine non poteva mancare la rilettura di due pezzi strumentali riscoperti nella loro profonda novità: lo standard So What di Miles Davis e Watermelon in Easter Hay di Frank Zappa un brano incredibilmente lirico e poetico, tanto differente rispetto alla produzione del grande musicista americano. Due brani solo apparentemente lontani fra di loro, in realtà accomunati dalla straordinaria ed imprevedibile trasversalità dei suoi autori.
https://www.blogdellamusica.eu/pollock-project-speak-slowly-please-disco/
ROCK IN HEAD
AH! è il nuovo dei Pollock, una parola che sa subito di astratto nell’espressione più libera del termine.
Se ci aggiungi Project l’orizzonte cambia perché da uno schizzo virtuoso di realtà immaginifica si passa a tutt’altra musica.
Erano tre anni che Marco Testoni rifletteva su come sbaragliare le aspettative e con un grido fulmineo, AH!, si è immerso nella condizione giusta per scrivere e comporre.
Una miriade di atmosfere allettanti.
Tutte all’insegna dell’arte più contemporanea fino all’avanguardia, con sfumature a volte metropolitane, altre esotiche o esoteriche, sempre rese magistrali dalla sua ispirazione e dai suoi compagni di viaggio.
Elisabetta Antonini e Simone Salza, due nomi che già da soli varrebbero un’avventura sonora.
AH! si distende in quelle zone della psiche dove le riflessioni si fanno superiori. Si espandono oltre la semplice realtà verso il surreale e l’imprevidibile.
Un potentissimo supporto del mix tra tecnica e virtù rende l’intero album un poderoso viaggio introspettivo alla ricerca di un ideale perfetto che superi il luogo comune che l’arte debba per forza rispettare dei canoni.
Lungo le dieci canzoni dell’album si vola in ambienti e situazioni disparate che fanno indispettire generi musicali blasonati come il jazz e la musica elettronica.
L’impasto è talmente solido che non è possibile etichettarlo e neppure paragonarlo a qualche altro album del passato.
È tutto estremamente attuale.
Ogni brano ha una storia a sé che quel gran creativo del Testoni racconta all’ascoltatore con personali impressioni sonore, magari sollecitandolo anche a chiudere gli occhi durante l’ascolto.
Oppure spiegandone la trama a parole nella descrizione dedicata. Un escamotage utilissimo che rende il viaggio sonoro anche visivo. Ma sempre concettuale. Ogni infatti vede quello che legge, ma lo fa a modo proprio. Così l’ascoltatore diventerà ancora più arbitro delle proprie percezioni.
AH! Signori, i Pollock Project sono tornati.
ROMA IN JAZZ
“Dipingere è azione di autoscoperta. Ogni buon artista dipinge ciò che è.”
Così ebbe a dire Jackson Pollock, e ciò che ha sempre reso unico quell’action painting non possiamo non riconoscere sia stata la naturale capacità di indicare le connessioni fra la tradizione ed il tradirla, scoprendo così che la “via” più naturale fosse proprio dietro l’angolo delle proprie pulsioni, in quello stile personale, febbrile, tanto inimitabile da essere imitato solo da epigoni.
Suonare è azione di autoscoperta. Ogni buon musicista esegue ciò che è.
Ebbene, l’Art Jazz, l’Action Music di chi al suo nome direttamente si riferisce, è prova di un Nuovo rivisitato, un Ossimoro di eclettica energia e sintesi stilistica che muove, oltre definizioni e sofismi, una ricerca dell’Originale che non conosce Deus ex Machina, semmai strade che via via si fanno sempre più avventurose nel nome non solo del Viaggio quanto più di una Magia sensibile che attraversa Continenti (Africa, Asia, America, Europa) in diverse Ere culturali.
“AH!” * è prassi strumentale che dal tribale varia all’elettronica più contemporanea, dalle diverse lingue del Suono Metropolitano possono esser tratti Etimi di Maghreb, onirismi per Marco Testoni e Caisa Drum e Simone Salza e Sax nell’India coltraniana (“Naima”), sensazioni jazzistiche cui sottintendere le Forze Visuali con le quali l’album è stato presentato all’Auditorium Parco della Musica di Roma il 12 marzo 2016: Musica con e per gli iphoneografi del New Era Museum **, Musica per Immagini e dalle Immagini descritta in una Pangea di Alchimie luminose ed itineranti di cui piace ricordare il Segno Antimilitarista di “Sankara” (il presidente-soldato del Burkina Faso che denunciò l’affaire dei venditori d’armi occidentali e per questo assassinato), l’omaggio alla poesia Dadaista “Anna Blume” di Kurt Schwitters (con la sua voce nel sample), il divertito Gipsy dello sballato “Gonzo Entertainment”, l’Officium minimalista e crepuscolare della magnifica invenzione vocale di Elisabetta Antonini fra le Blue Notes trovate nella psichedelia islandese dei Sigur Ros (“Varuo”).
Ricordando ancora Jackson Pollock, sono convinto che ogni artista che sia “moderno” debba operare per esprimere il proprio vero mondo interiore, ovvero il Movimento, l’Energia ed ogni altra Forza interiore, creando non Tecniche ma Fini nei quali tali Forze debbano emergere per ciò che sono.
AH! Posso francamente dire che non conosco nessuno come il Pollock Project.
Fabrizio Ciccarelli
Marco Testoni, caisa drum, percussioni, pianoforte, programming
Simone Salza, sax, clarinetto
Elisabetta Antonini, voce, live electronics
Andrea Ceccomori (flauto 1-9)Stefano Roffi (contrabbasso 2-5) Primiano De Biase (piano 3) Mats Hedberg (chitarra 5) Daniela Nardi (recitazione 9) Chiara e Micol Testoni (5)
Aura (4:55)
Naima (6:47)
Mystical Pr (3:28)
Sankara (6:48)
Gonzo Entertainment (3:34)
Anna Blume (4:20)
Pelham (5:33)
Varuo (5:38)
Serial Dreamers / Ah! (5:24)
Impossible Humans (5:09)
* Il titolo richiama una celebre espressione del Kena Upanisad (“Ciò che nel fulmine abbaglia, fa chiudere gli occhi ed esclamare “AH!”), indica la via per la ricerca della bellezza e dello stupore. (Comunicato Stampa Studio Alfa, Lorenza Somogiy Bianchi)
**L’ideazione di una performance globale di musica e fotografia contemporanea è nata dalla collaborazione con i fotografi del New Era Museum, un movimento internazionale fondato da Andrea Bigiarini, Brendan Ó Sé, William Nessuno, Dilshad Corleone e Roger Guetta, basato sul linguaggio istantaneo della fotografia digitale mobile attraverso gli smartphone. (Ibidem)
http://www.romainjazz.it/index.php/recensioni/120-pollock-project-ah
Roberto Pagliaviniti per MUSICVOICE.IT
«In questo album abbiamo cercato percorsi musicali inusuali e poco battuti, incontrando registi, pittori e fotografi che sono diventati dei veri e propri alter ego della nostra musica. Penso a Istvan Horkay e Mark Street, ma soprattutto ad Andrea Bigiarini e ai fotografi del New Era Museum. Continuo a credere che l’incontro tra le arti porti sempre a risultati inaspettati e non omologabili, quindi sorprendenti e vitali». Attraverso questa nota stampa il percussionista Marco Testoni introduce il nuovo lavoro firmato dai Pollock Project dal titolo “AH!” (Be Human Records, 2016), richiamando una celebre espressione del Kena Upanishad: “Ciò che nel fulmine abbaglia, fa chiudere gli occhi e fa esclamare AH!”. In questo album, rispetto al precedente “Quixote” (Tre Lune Records, 2013), troviamo al fianco di Testoni una rinnovata line up, completata dalla cantante Elisabetta Antonini e dal sassofonista Simone Salza, oltre a una serie di musicisti ospiti, tra i quali Primiano Di Biase al pianoforte e Mats Hedberg alle chitarre.
La scaletta si compone di dieci brani, nei quali incontriamo una vasta gamma timbrica, nella quale confluiscono anche archi, flauto, elettronica, suoni campionati e spoken word, per un insieme segnato da originalità espressiva e forme mai prevedibili. Ne deriva un’immagine sonora multiforme, dove l’elemento percussivo funziona sia come fattore ritmico, sia da riferimento melodico, in un’atmosfera espressiva variabile e in continuo mutamento, come in situazioni dal tiro dance dell’iniziale Aura alle frasi sussurrate che introducono Mystical PR, fino al patchwork surreale di Gonzo Entertainment. Testoni cura in maniera dettagliata gli arrangiamenti, e ogni ingrediente sonoro è pensato, accostato e incastrato agli altri con un approccio fantasioso, per un risultato decisamente distante da soluzioni di comodo e cliché formali.
Roberto Paviglianiti
http://www.musicvoice.it/jazz-pages/recensioni/2489/pollock-project-album-ah/
Paolo Odello per IL FATTO
Giuseppe Serao per LA REPUBBLICA
“Speak slowly” mood elettronico di Pollock Project
GIUSEPPE SERAO
ALLA Casa del jazz Pollock Project presenta stasera il nuovo album “Speak slowly please!”. Sul palco Marco Testoni (tastiere, percussioni, handpan), Elisabetta Antonini (voce, loop elettronici), Simone Salza (sassofoni, clarinetto) e Mats Hedberg (chitarra). “Speak slowly please!” è il disco che segna la svolta jazztronica dell’ensemble. Se nei primi tre album il gruppo seguiva un percorso in nome del visionario e dell’art-jazz ora quella matrice sembra inglobata in uno stile musicale unico e trasversale. Un mix di jazz contemporaneo, musica elettronica e arti visuali che si muove liberamente fra classico e modernità. Come da tradizione il titolo dell’album è programmatico: un ironico invito ad una chiara immediatezza di linguaggio che sappia essere esprimere contenuti musicalmente e culturalmente profondi.
https://repubblica.it/speak-slowly-mood-elettronico-di-pollock-project
Guido Festinese per DISCO CLUB
Ecco un cd che, come si suol dire talora, potrebbe interessare schiere diverse di ascoltatori: ad esempio chi ama le voci da streghette maliarde delle grandi songwriter nordiche, chi ama i brani spruzzati di elettronica e qualche dosato campionamento, chi vuole un jazz libero dalla ripetizione coatta di schemi logori, e sorprenda ad ogni brano. Pollock Project è al quarto disco, e ora in formazione c’è il chitarrista svedese Mats Hedberg, ottimo apporto, vedi l’introduzione ruggentemente blues di Nana, che poi incorpora invece sapori etno alla Joe ZAwinul, mentre Simone Salza rileva il posto che fu di Nicola Alesini ai sassofoni. Due cover tra i brani originali (splendido quello che intitola il disco) davvero sorprendenti: una So What davisiana tutta torsioni elettriche, e la struggente Watermelon in Eastern Hay di Frank Zappa, quella che in Joe’s garage il Maestro baffuto immaginò come “the last imaginary guitar solo”.
(Guido Festinese)